Non chiamateci folksinger

 

2021

 

 Il Tamburo di Aci

 


Tre parole per distinguersi; tre parole per sganciarsi dalle etichette, per togliersi dalle spalle quella polvere fatta di note scontate; tre parole decise, chiare e a tratti, rabbiose. La rivoluzione de I BEDDI, iniziata anni or sono, continua e si rivela ancor più palesemente all'interno di questo album; una ribellione adesso manifesta, una sommossa disciplinata contro ogni qualsivoglia classificazione artistica o musicale.

Un disco a metà strada tra un "the best of" e una raccolta di inediti raffinati e ricercati; il risultato è un folk leggero che sconfina nel blues, nel cantautorato più celebrato in Italia, nel country americano, nel pop estero e in molte altre espressioni musicali apparentemente lontane dal folk tradizionale siciliano.

Un disco con i piedi per terra ma che sa far sognare, un album sensuale, appetitoso e accattivante come la fragola in copertina, un disco che ben rappresenta, la cultura, le fortune, le tradizioni sonore e le peculiarità del popolo siciliano e della Sicilia nella sua interezza. 



  1. Unn'eri tu (Urso/Balistreri)
  2. Ciuri d'amuri (D. Urso)
  3. Vitti affacciari lu suli di notti  (Tradizionale/Sterrantino/Nunzio)
  4. Cu ti lu dissi (Tradizionale)
  5. A la fera di li paroli  (D. Urso) 
  6. Non chiamatemi folksinger (D. Urso)
  7. Quannu viru a tia (D. Urso) 
  8. Quannu moru ju (Tradizionale/C. Muratori/ D. Urso/G. Nunzio)
  9. Muncibeddu (D. Sterrantino) 
  10. L'amanti cunfissuri (Tradizionale)
  11. Sutta la to finestra (D. Urso/D. Sterrantino) 
  12. Tarantella blues (D. Urso)

 

    

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TESTI

 

 

Unn'eri tu 

Testo e musica di  Davide Urso      

                                                        

Unn'eri ammucciata figghia unn'eri tu,                          

lontana dai miei sogni e dai miei guai?                        

Forsi d'intra un ciuri chi d'alleggiu crisci                                  

o tra la scuma di lu mari unni abbolunu li pisci.

Forse in un bocciolo non ancora schiuso

o a sbatter tra le onde pinne e muso.    

      

Unn'eri tu? Cu era ju?                                          

Arma nicaredda senza paci!                                                       

Unn'eri tu?

Cu era ju, senza la me bedda e la so vuci?

Unn'eri tu?                                                                         

Cu era ju, senza la to vucca aneddu duci?               

 

Unni eri ammucciata figghia unni eri tu                                    

lontana dal mio canto e dai miei dei?                                       

Supra 'na stidda d'oru o arreri di 'na luna china

o pusata tra diomanti e stizzi d'acquazzina.

Sopra una stella ambrata o dentro un chicco di rugiada

o adagiata tra una perla ed una giada.         

 

 

Ciuri d'amuri

Testo e musica di Davide Urso

 

Oh gimma di jardinu quannu nascisti

li rosi e li ruvetti 'nnamurari visti.

Funtana di biddizzi quannu criscisti

a tutti  l'uocchi  strabuzzari ni facisti.

 

Nta lu to nnomu porti la grazia d'a Madonna

vulissi fussi, amanti, cunfidenti e donna.

Quannu ti susi tu lu jornu agghiorna

unni ti curchi tu lu 'nvernu sverna.

 

 

Oh ciuri di li ciuri, ciuri d'amuri,

lu sai di quantu peni tu mi fai straziari?

Si nun ti pozzu aviri vurria turnari

dintra lu ventri di me matri e nun nasciri,

ciuri d'amuri nun vulissi chiù nasciri.

 

Quannu camini tu la luci ammucci

luciunu sulu l'occhi e la to facci.

Unni scarpisi la distanza s'assuttigghia

tra cielu, terra e mari e nun è maravigghia.

 

Di li manu di Ddiu fustu dipinciuta,

di petali e di pampini fusti adurnata,

di ogni omu onestu ogn'ura addisiata

ma nuddu ti disia comu a mia, mia amata!

 

Cu nu cuteddu a pizzu lu me cori pungi

je ccu na lazzu strittu forti mi lu strinci.

Aiutimi, tu bedda, si mi voi aiutari

li spini ad unu ad unu  ô pettu m'â livari.   

 

               

Vitti affacciari lu suli di notti

Testo liberamente tratto dalla raccolta

Canti popolari siciliani (volume I) di Giuseppe Pitrè.

Capitolo: scherzi – canti 565, 566, 567

Musica: Mimì Sterrantino, Giampaolo Nunzio

 

Vitti affacciari lu suli di notti

E quattru muti jucari a li carti,

Haju vistu siminari favi cotti

Nta lu misi di marzu ficu fatti.                                                                        

Haju vistu abballari anchi li morti

E durmiri li cani cu li jatti.

 

Vitti vulari un corvu 'ngarzatu

Ch’avia tri parma di pizzu nisciutu;

Vitti curriri nu mortu scapiddatu,

Chi di li fossi iera prisuutu;

Vitti lavurari un voi scurciatu,

e li varvasci cci dettiru ajutu.

 

Haju vistu vulari babbaluci,

Tarantulicchi spinciri balati.

Di lu purteddu passu e sentu vuci,

Un parpagghiuni ammazzau sei crapi;

S’ 'un era pronto a fàrimi la cruci,

Satàu un gottu e rumpi sei cannati.

 

 

Cu ti lu dissi 

Testo e musica tradizionale

 

Cu ti lu dissi ca t'haju a lassari                           

megliu la morti e no chistu duluri.                                 

Ahj, ahj, ahj, ahj moru, moru, moru, moru,                    

ciatu di lu me cori, l'amuri miu si tu!                              

 

Cu ti lu dissi a tia nicuzza

lu cori mi scricchia a picca, a picca, a picca, a picca.

Ahj, ahj, ahj, ahj moru, moru, moru, moru,                    

ciatu di lu me cori, l'amuri miu si tu!                   

 

Lu primu amuri lu fici cu tia

e tu schifusa ti stai scurdannu a mia.

Paci facemo, oh nicaredda mia!

Ciatu di l'arma mia, l'amuri miu si tu!

 

 

A la fera di li paroli

Testo e musica di Davide Urso

 

Pizzica spizzica muzzica rusica

pizzula rummula ruzzula strummula

azziddica stuzzica scuncica mizzica

mizzica mizzica.

 

Chista è la fera di li paroli

accattini una, lu sai quantu vali?

Questa è la fiera delle parole

comprane una vedrai quanto vale.

 

Nta stu mircatu passi pariggiu

abbunnunu i nummara senza ‘nu sgaggiu.

Questo mercato invoglia l’acquisto

abbondano i numeri e non uno guasto.

 

Si nun ci ha statu ti lu cunsigghiu

capaci c’attrovi lu miniminagghiu.

Te lo consiglio è lungo la strada

forse ci trovi un’antica sciarada.

 

Attrovi vucali assulicchiati

nta li panara ritti e abbissati.

Dentro le ceste delle parole

trovi vocali seccate al sole.

 

Di primu acchittu nun ti n’adduni

ca stanu addritta du’ cungiunzioni.

A primo impatto non te n’avvedi

due congiunzioni stan ferme all’impiedi.

 

Ê picciriddi accatti l’accenti

ê chiu’ rannuzzi virguli e punti.

Per i bambini compri gli accenti

per i piu grandi virgole e punti.

 

Li fimmineddi scangiunu ciuri

li vicchiareddi ‘nnimini e storii.

Giovani donne barattan fiori

scambiano storie gli anziani signori.

 

Di ‘ncapumastru n’uttava cca rima

di ‘ncapubanna ‘na nota cca scrima.

Di un capomastro una rima baciata

di un capobanda una nota intonata.

 

Di ‘na mavara ‘na mavarìa

ammisturata cu ‘na litania.

Un incantesimo di una megera

sembra l’incedere di una preghiera.

 

Si cunta e ricunta c‘a stari accura

arretu s’ammuccia ‘na vecchia signura,

pari pulita tutta agghiummata

‘nciuri  nta testa bella e abbissata.

Acquannu  acquannu cerchi ed attrovi

ammenzu ê cufina ‘na bonanova,

sta vicchiaredda ccu santa duvizia

alluzza l’occhi supra ‘a nutizia,

d’attagghiu s’allasca ccu ‘na scaciuni

‘na spinticedda je n’ammuttuni,

cu manu di jatta afferra ‘a quistioni

e si l’agghiaccia sta bedda opinioni.

Avogghia a schigghiari avogghia a scuppari

ccu arti studiata è lesta a scappari.

 

Ma si racconta che in questa fiera

gira e rigira una vecchia signora,

sembra distinta ricca di fiocchi

fiori ai capelli lucidi gli occhi

e proprio quando cerchi e la trovi

tra le bancate la buona nuova,

questa vecchietta con santa dovizia

adocchia in fretta la stessa notizia,

accanto si erge pronta di scuse

quasi spingendo vantando pretese,

con mani fatate afferra l’avviso

la bella questione, con fare preciso.

Le tue lamentele rimangono tali

lesta già fugge lungo i viali.

 

 

Non chiamatemi folksinger

Testo e musica di  Davide Urso

 

Da un ramo adagiato ne ho tessuto le lodi                  

Trinacria sei bella nei modi.                                                        

Su un palco insolente di questa bellezza

ne ho fatto un fatto di piazza.                             

Su un mirabile ulivo  dal tratto lascivo              

o sopra il migliore dei mandorli in fiore             

a te mi son dato e nulla di meno                                    

volendo comprenderti a pieno.                                       

           

Il valzer mi vien naturale                                                 

conosco chi è Anedda o Gioviale,                                             

mi piace suonar tempi in tre                                                       

studiare il "Favara" e il "Pitrè".                                        

Ho pescato da miti e folclore

dal canto d'amor popolare,

di ottave perdute e rispetti                        

canzuni e cunti e ne ho fatti.                       

E con ciò ma guarda un po'                                                        

venite a dirmi chi sono e sarò                                           

ed invece io più voce non ho.                                                                

 

E non chiamatemi folksinger                                          

u sacciu ju cu sugnu.                                                                  

 

Battendo un tamburo con la giusta intenzione

ho sognato la tua redenzione.

Per strade e teatri  delle tue  mancanze

ne ho fatto concerti e speranze.                                                                        

All'ombra di sotto ad un bergamotto

ascoltando un'orchestra di gialla ginestra

mi son fatto ispirare da te                                                

madre terra, incostante, puttana e lacché.

E perciò ancor meglio di me                                                       

vorreste il mio canto sapere com'è                                 

ed invece io più voce non ho. 

 

 

Quannu viru a tia

Testo e musica di Davide Urso

 

A matina nun c’è suli ca mi sconza stu duluri

e la sira nun c’è friscu ca m’astuta stu disiu,                                                                

la notti nun è jornu ma lu stissu m’arrusbigghiu,

la fami scumpariu e la siti si ni jiu.

        

Quannu viru a tia strinci 'u pettu ca quarìa

quannu viru a tia sautu 'u passu nta la via

quannu viru a tia scordu tutt’avimmaria

quannu viru a tia mi si sbota a fantasia.

 

Nun quagghia la ricotta, cchiù nun fazzu li viscotta,

nun sfornu pani bonu, nun ti cantu e nun ti sonu,

nun cogghiu cchiù lu meli, nun serbi pi stu mali,

'a gramigna nta la vigna la racina mi cummogghia.

 

Cu la grazia d'a to vuci d’intra 'i tia mi cunnuci,

ppi la danza d'u to passu ju stu ballu ti lu lassu,

nun sentu mancu friddu, d’amuri mi cummogghiu,

putenti comu bracia si lu suli ca m’abbrucia.

 

Nta sti jorna disgraziati, nun mi carmunu i pruriti,

nta sti jorna biniditti ma mbriacu senza vutti,

senza vutti e senza vinu persi 'a testa a lu matinu,

persi anche la ragiuni e ti vidu a tutti i 'gnuni.

 

Mi vinnu stu pitittu di vasariti lu pettu,

mi vinni stu pitittu di cunzariti lu lettu,

addivintai vastasu nta lu sonnu ju ti vasu,

cu la vucca e cu li manu ti sunassi u marranzanu.

 

Quando vedo te  (Traduzione in italiano di Quannu viru a tia)

 

Al mattino non c’è sole che mi tolga questo dolore,

E la sera non c’è fresco che spenga questo desiderio.

La notte non è giorno ma lo stesso mi sveglio.

La fame scomparve e la sete se ne andò.

 

Quando ti vedo mi si stringe e riscalda il petto;

Quando ti vedo salto il passo per la via;

Quando ti vedo dimentico tutta l’Ave Maria;

Quando ti vedo si rimescola la mia immaginazione.

 

Non addensa la ricotta, più non faccio i biscotti,

Non sforno pane buono, non ti canto e non ti suono.

Non raccolgo più il miele, non serve per questo male.

La gramigna nel vigneto l’uva mi nasconde.

 

Con la grazia della tua voce dentro te mi conduci.

Per la danza del tuo passo io ,questo ballo te lo lascio.

Non sento nemmeno freddo, d’amore mi avvolgo.

Potente come brace, sei il sole che mi brucia.

 

In questi giorni disgraziati non mi calmano i pruriti;

In questi giorni benedetti mi ubriaco senza botte;

Senza botte e senza vino persi la testa al mattino,

Persi anche la ragione e ti vedo in tutti gli angoli.

 

Mi è venuto il desiderio di baciarti il petto;

Mi è venuto il desiderio di prepararti il letto.

Sono diventato un mascalzone, nel sonno io ti bacio.

Con la bocca e con le mani ti suonerei il marranzano.

 

 

Quannu moru ju

Testo e musica tradizionale,  Davide Urso, Giampaolo Nunzio, Carlo Muratori 

 

Quannu muoru ju chianciti tutti

'N tabbutu m’ ‘at’ ‘a fari di ricotti

Ppi capizzu du’ capuna cotti

Ppi cummogghiu piscirova fritti

Ppi cannili du’ picciotti schetti

Ppi acqua biniritta vinu forti

 

Quannu moru ju ballati nsichitanza

'Llinghitivi la panza cu sustanza

Faciti amuri senza fari luttu

Schigghiati: “ancora cantu e 'n sugnu mortu”

Ju vi priu paci ppi li vostri jorna

Chi campati bonu ca nun si torna

 

 

Muncibeddu

Testo e musica di Mimì Sterrantino

 

Supra ddu tappitu di sangu cucenti

jo ci vulissi caminari;

sutta ddi vampati ca diventunu roccia

m'a facissi vulinteri na doccia.

 

Ma chi rialu ranni nni fici la natura

quannu lu viu stu cori si 'nnamura.

Ranni Muncibeddu si na cosa priziusa

e li cristiani t'anna dumannari scusa,

pi tutta dda munnizza

jttata ogni vadduni

e si sentunu d'aviri raggiuni.

 

Ma menu mali ca cci sai pinsari a ttia

ogni tantu a pulizì tutta sta fitinzia,

cu lu tò chiantu ca a mmia mi fa pinsari

ma fa trimari i mura di Adranu ad Acireali.

 

Comu a ttia nuddu sapi crisciri limuni

tu sì liggi hai sulu raggiuni,

sì lu prutitturi di sta nostra strana razza

di sta terra bona e maliditta.

 

Ddi stradichi di focu chiamunu sti occhi

pi mia si a prima stidda nta la notti

e ti tegnu cumpagnia o scuru 'i sta piazzetta

e fumu assemi a tia cu 'n autra sigaretta.

 

Di luntanu si bedda di taliari

ma da vicinu li genti fai scantari,

di sta rocca fai pinsari a duci cosi

chiddi ca non pensunu dda 'ssupra a Nicolosi

 

 

L’amanti cunfissuri

Testo e musica tradizionale

 

Tuppi tuppi cu è ddocu? A cu circati?

Cc’è ‘n cappuccinu pi la caritati.

 

Rit. Zu zuchitizu zuchiti zu zu zu

 

Patruzzu cappuccinu lassatimi stari

ch’ haju la figghia mia chi mi sta mali. 

 

E si sta mali  facitila cunfissari

ca ju assorviri vogghiu li so piccati.

 

Chiuriti sta finestra chiuriti stu barcuni

ca nun s'â sentiri la cunfissiuni.

 

La matri nta la sala la matri chi chiancia

la figghia cu zu monacu ca ballava e ca ridia.

 

Ju mi nni vaju  addiu ciamma d’amuri

ti lassu ppi ricordu stu muccaturi.

 

Ti lassu ppi riordu stu muccaturi

ppi stuiaritilli li to suduri.

 

A Cesare

 

 

Sutta la to finestra

Testo Davide Urso

Musica Davide Urso / Mimì Sterrantino

 

Sutta la to finestra sonu e cantu

Sutta lu to barcuni mi prisentu

Cca fora quetu abbannu lu me vantu

Di maritari a tia sugnu cuntentu

 

Li to’ trizzi li to’ rizzi su’ cannola

La to figura stampa di la tila

L’ummira to' chi pari unna di lu mari

Ca strica nta la rina a lu scurari

 

La vuccuzza pummaroru ciliegginu

L’occhi chini di lu ciatu d'u matinu

La to biddizza lama di rasola

Nisciuta frisca frisca di la mola

 

Carrubba la to peddi ammurraciata

Frisca comu da staciuni 'a minnulata

Li jammiceddi percia nuciddara

Li brazza longhi brisca di livara

 

Li manuzzi tinirumi di campagna

Li piruzzi finucchieddu di muntagna

Li jituzzi nichi sbeggia janchi pruna

Li minnuzzi primuciuri di limuna

 

Cantu a la to finestra a tardi uri

Sta sirinata iettitu di ciuri

Sta sirinata lampu di fanali

Tenila stritta vali quantu vali

 

 

 

Tarantella blues

Testo e musica di Davide Urso

  

Sutta  ‘n celu ‘mpastatu di stiddi

pezzi di canna e tammuri di peddi

balli a furriari nta li vaneddi

passi a danzari li taranteddi.

 

Sotto un cielo velato di stelle

pezzi di canna e tamburi di pelle

nelle viuzze stoffe ballare

ombre danzare le tarantelle.

 

Jettu sangu e portu ‘a cruci

ma sta terra nun la lassu,

sautu abballu e jettu vuci

ma sta terra nun la lassu,

chista terra amara e duci

nun la lassu nun la lassu.

 

De' cosi stotti ju mi lamentu

e a stu mumentu sugnu scuntentu

ppi miliuni di genti bagascia

c’è cu t’imbrogghia je cu t’alliscia.

 

Tarantella blues ppi sta terra folk  

 

Nta li stratuzzi miliuni di munni

tanti parrati ammiscati di l’anni

l’orbi cantori e li sunaturi

di l’antichi ci cuntunu ‘i storii.

 

Nei vicoletti milioni di mondi

lingue mischiate a dialetti bastardi

dei nostri avi durante la festa

senti i cantori narrare le gesta.

 

Ogni npocu cangiu travagghiu

‘n misi ‘n campagna e ‘n misi nto bagghiu

ppi du’ liri ‘nu piattu e ‘nu lettu

tutti ‘i jorna a fari lu bottu.

 

A matina ciauru di mori

a manzjornu s’affaccia  ‘n ciuri

e a la sira a la finestra

ciauru di ventu ciauru di mari.

 

Al mattino odore di more

a mezzogiorno si schiude un fiore

tutte le sere alla finestra

soffia incessante la brezza del mare.

 

‘Na vota mi dissiru ca mi n’â jiri

una volta mi dissero: < dovresti andare >.

Si ni ni jemu, appoi cu resta?

Se ce ne andiamo, poi chi rimane?